Non può considerarsi imballaggio un “contenitore” che non contenga la merce. Ciò anche, e specialmente, nel caso di contenitori utilizzati dall’impresa nel ciclo di produzione.
Ancora una volta la Suprema Corte di Cassazione, con la nuova decisione della Prima sezione civile, n.2145 del 22 gennaio 2024, torna a pronunciarsi sulla qualificazione giuridica di imballaggio.
E lo fa confermando ed applicando il principio giuridico già enunciato dalla precedente sentenza della terza sezione civile n.12458 del 9 maggio 2023.
Una sentenza storica che già stabiliva con assoluta precisione che un bene non costituisce imballaggio se non è materialmente e concretamente adibito a tale funzione. Non è imballaggio, insomma, un sacchetto di plastica, fino al momento in cui non venga riempito del prodotto e messo in commercio con esso.
La strada, che già era stata tracciata in modo netto, pertanto si rafforza.
Un sollievo per le tante imprese che negli anni si sono viste richiedere costantemente contributi esosissimi, per beni che non era imballaggi e che pertanto non sarebbero mai finiti nel ciclo dei rifiuti urbani. Beni per i quali tra l’altro era già stato versato, come dovuto, il contributo ambientale al consorzio Polieco che ne aveva provveduto al corretto avvio al riciclo, per il raggiungimento degli obiettivi indicati dal Ministero dell’Ambiente.
Si consolida in tal modo la giurisprudenza che vuole fare chiarezza sul punto, eliminando un odioso contenzioso, già oggetto dell’attenzione del legislatore che, modificando l’articolo 237 comma 8 del Testo unico ambientale, ha introdotto il principio del ne bis in idem, proprio per evitare che una impresa potesse essere soggetta per due volte all’obbligo di pagamento del contributo ambientale.
Una grande soddisfazione per il PolieCo che ancora una volta ha espletato la sua funzione a tutela delle imprese contro un’applicazione burocratica e punitiva delle esposizioni ambientali.